Silvio Trentin

Una famiglia speciale, i Trentin, che ha fatto dell’antifascismo, della libertà, del pensiero critico, spesso controcorrente, una scelta di vita, pagata con prezzi altissimi, dalla perdita di una posizione sociale all’esilio, dal carcere alla fine prematura del capofamiglia. Un padre, una madre e tre figli, che hanno svolto un ruolo attivo nella lotta per la democrazia in Italia e in Europa. Anche dopo la morte del padre e la fine della guerra, infatti, i figli porteranno avanti quegli stessi valori, con un apporto sempre originale e di primo piano nel mondo politico, sindacale, accademico e artistico. L’intransigenza morale è il principale insegnamento che Silvio gli ha trasmesso, la «radicale incapacità di separare l’etica della politica dalla propria morale quotidiana», come dirà Bruno.

La storia dell’intera famiglia e le storie, private e pubbliche, dei singoli componenti sono infatti dominate dal tema della “scelta”: le scelte del padre Silvio – su tutte l’opposizione intransigente al fascismo e il conseguente, lungo esilio – non determinano solo le vicende di ognuno di loro fin dalla più tenera età, ma rappresentano il modello, la “visione del mondo” su cui ciascuno costruirà la propria vita. La militanza civile ed antifascista, marchio caratteristico ed inconfondibile della famiglia, troverà così in ogni Trentin una personale declinazione.

Promossa da Centro documentazione e ricerca Trentin[1], Iveser e Associazione rEsistenze, la mostra si propone innanzitutto di valorizzare, far conoscere e condividere il ricco fondo fotografico contenuto nell’Archivio di Franca Trentin. Raccogliendo anche documenti e scatti appartenuti ai genitori di Franca, Silvio e Beppa, l’archivio comprende infatti – oltre ad un ricco epistolario – una raccolta di oltre 400 immagini che spaziano dagli ultimi anni dell’Ottocento ai primi anni Duemila[2].

In particolare si intende, con questo progetto, approfondire la fase dell’esilio francese della famiglia negli anni della dittatura (1926-1943). Silvio Trentin, allora docente di Diritto pubblico a Ca’ Foscari, fu infatti tra i primissimi cattedratici italiani a rifiutare il processo di fascistizzazione dell’università: quando, alla fine del 1925, una legge impose a tutti i dipendenti dello Stato (docenti universitari compresi) il rispetto dell’ideologia fascista, Silvio Trentin non si limitò a dimettersi dall’insegnamento: decise di lasciare anche una patria per cui pochi anni prima aveva con entusiasmo rischiato la vita (era infatti stato volontario nella Grande guerra, venendo decorato per alcune azioni di ricognizione su aerei e dirigibili), ma in cui ora non vedeva più garanzie di libertà. A Luigi Luzzatti, che lo invitava a riflettere, rispondeva: «Io non posso rimanere in Italia. Se fossi un professore di matematica forse potrei restare, ma come professore di diritto, come posso restare qui a insegnare quando l’attuale regime è contrario a tutto ciò in cui credo?».

La famiglia si inseriva prematuramente nella rete dell’antifascismo all’estero e degli esuli di varia nazionalità che allora sceglievano la Francia come rifugio; i Trentin – non più solo italiani e non del tutto francesi – assumevano così i tratti di una famiglia “europea”. Tra gli stessi figli della coppia i sentimenti di appartenenza sembravano complicarsi e differenziarsi, innanzitutto per ragioni anagrafiche: il primogenito Giorgio (1917), cresciuto a Venezia fino agli otto anni, soffriva più degli altri lo sradicamento dall’Italia e conservava un certo spirito patriottico; Franca (1919), stanca di essere etichettata dai coetanei francesi come “macaronì”, arrivava a vergognarsi di essere italiana e non a caso – giocando sull’assonanza tra il suo nome e quello della sua nuova patria – si farà chiamare col diminutivo Francette, piccola Francia; Bruno (1926) infine, nato già in esilio, si considerava a tutti gli effetti francese, tanto che nel 1943 il padre dovrà faticare non poco per convincerlo a tornare in Italia. Un’identità multipla persino nel linguaggio: i genitori parlavano in dialetto veneto tra di loro e in italiano con i figli, mentre questi ultimi usavano tra loro il francese.

Nelle memorie familiari Giorgio è il ragazzo gentile, tranquillo e un po’ svagato; Franca la studentessa modello che rende orgoglioso il padre; Bruno l’enfant terrible che fin dalla più tenera età concentra su di sé le attenzioni della famiglia per il suo carattere intraprendente e ribelle, con le sue ricorrenti fughe da casa.

A rendere ancora più “europeo” l’ambiente familiare contribuiscono poi – oltre alla doppia identità italo-francese – i rapporti con la vicina Spagna: durante la guerra civile la piccola libreria dei Trentin a Tolosa[3] diventa un vero e proprio centro di smistamento e crocevia nelle comunicazioni tra i due versanti dei Pirenei («una sorta di ambasciata informale», la definirà Lussu) e lo stesso Silvio si reca più volte a Barcellona. Quindi, dopo la vittoria del franchismo, tutta la famiglia si impegna nell’assistenza agli spagnoli rifugiati in Francia, a cui i destini personali dei Trentin si legheranno strettamente (Franca sposerà infatti uno di questi esuli, Horace Torrubia).

Durante l’esilio francese Silvio, oltre a preoccuparsi della non facile sussistenza quotidiana legata alla loro condizione di “emigranti” (dopo aver perso buona parte del consistente patrimonio in una sfortunata impresa agricola, l’ex deputato e accademico deve adattarsi a fare l’operaio tipografo e, in seguito, il libraio), tesse una fitta rete di rapporti, sia con i fuoriusciti italiani che con intellettuali e politici transalpini. Da subito è impegnato nella Lega dei Diritti dell’Uomo e nella Concentrazione Antifascista e nel 1929 aderisce al movimento di Giustizia e Libertà, divenendone uno dei principali esponenti. Per casa Trentin e per la libreria di Tolosa passano allora molti dei nomi più rappresentativi dell’antifascismo in esilio, da Giorgio Amendola a Pietro Nenni a Carlo Rosselli, nonché intellettuali francesi come André Malraux o Antoine de Saint-Exupéry. Personaggi come l’ex presidente del Consiglio Francesco Saverio Nitti o il già citato Emilio Lussu – amico fraterno di Silvio – sono ospiti della famiglia per lunghi periodi. Con altri ancora, come Gaetano Salvemini, Trentin intrattiene un fitto scambio epistolare. Convinto fautore del fronte unico nello scontro contro «l’antidemocrazia» che minaccia l’intera Europa, è Silvio Trentin a sottoscrivere a nome di GL, nell’ottobre 1941, il patto di unità d’azione dell’antifascismo italiano (il primo dopo le divisioni causate dall’accordo Molotov-Ribbentrop), premessa fondamentale per la futura unità politica della Resistenza italiana.

A tutto ciò si affianca un’incessante attività pubblicistica, intesa sia come momento di battaglia politica che come studio scientifico: è ad esempio il primo a tentare – con Les transformations recentes du droit public italien, del 1929 – una seria analisi dell’ordinamento giuridico fascista, svelandone la vera natura liberticida. Successivamente il suo antifascismo, tormentato e insieme lineare, lo spinge a progettare un ordine nuovo, rivoluzionario e federale, tanto da farne un anticipatore dell’Europa unita.

Dopo l’invasione tedesca della Francia, Silvio Trentin diventa un punto di riferimento per gli stessi resistenti francesi, fondando nel 1941 l’originale movimento “Libérer et Fédérer”. Infine, con il settembre 1943, giungerà l’ora del tanto atteso ritorno in Italia: Silvio avrà però solo il tempo di dare un fondamentale contributo alla costruzione della Resistenza veneta prima di morire nel marzo 1944, stroncato dai problemi cardiaci di cui soffriva da qualche tempo, precipitati per i disagi della clandestinità e della breve detenzione in un carcere fascista.

Nell’ultimo anno di vita Trentin lavorò parallelamente a due ambiziosi progetti di costituzioni federaliste, uno per la Francia e uno per l’Italia: il federalismo è da lui inteso come garanzia di un potere statale che si eserciti dal basso verso l’alto, nel nome di un’autonomia non solo locale e territoriale, ma individuale e sociale, avendo come obiettivo la libertà e l’emancipazione di ogni cittadino.

La prematura scomparsa impedì a Silvio Trentin di vedere quel risultato – la sconfitta del totalitarismo fascista in tutta Europa – per cui aveva lottato per 18 anni; ma i suoi figli continueranno i loro percorsi biografici, pur diversi l’uno dall’altro, in una evidente scelta di continuità con la vicenda paterna e con la sua prospettiva sovranazionale di democrazia, di difesa delle libertà individuali e della giustizia sociale, prima nella Resistenza e poi nell’Italia e nell’Europa del dopoguerra (Franca sarà attiva nel mondo accademico francese fino al 1966, quando farà ritorno a Venezia, mentre Bruno, a coronamento di una irripetibile parabola di incarichi sindacali e politici, sarà eletto nel 1999 al Parlamento Europeo; Giorgio da parte sua si rivelerà, negli anni difficili della guerra fredda, un instancabile organizzatore di scambi artistici e culturali tra l’Italia e i paesi “d’oltre cortina”).

[1] Il Centro documentazione e ricerca Trentin nasce a Venezia nel 2012 per iniziativa dell’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Iveser). Dopo la scomparsa di Franca Trentin – che dell’Iveser era stata prima presidente e poi, a lungo, presidente onoraria – si è ritenuto opportuno riunire le diverse associazioni e istituti che, in tutta Italia, conservano fondi documentari relativi alla famiglia Trentin o che su di essa promuovono ricerche ed iniziative, così da superare l’attuale stato di dispersione delle carte e coordinare, promuovere, rilanciare gli studi relativi tanto ai suoi singoli membri quanto alla famiglia come soggetto storico unitario.

[2] Poco prima della sua morte, avvenuta nel 2010, Franca aveva donato all’Associazione per la storia e la memoria delle donne in Veneto “rEsistenze” il suo archivio personale; l’archivio è oggi conservato a Venezia presso la Casa della Memoria e della Storia del Novecento (Villa Hériot, Giudecca), sede – oltre che di rEsistenze, – di Iveser e del Centro documentazione e ricerca Trentin. L’archivio personale di Franca Trentin è stato dichiarato di interesse storico particolarmente importante con provvedimento ministeriale del 23 febbraio 2015; la sezione fotografica è stata oggetto nel 2016 di un intervento di digitalizzazione e di catalogazione informatizzata finanziato dal Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo, realizzato con il coordinamento scientifico della Soprintendenza archivistica e bibliografica del Veneto e del Trentino Alto Adige.

[3] Quando nel 1934 la famiglia si trasferisce nella città di Tolosa, con un ultimo sforzo finanziario e l’aiuto di parenti ed amici Silvio acquista la Librairie du Languedoc, destinata a diventare un luogo cruciale per la storia della famiglia e per la crescita dei giovani Trentin. Dalla piccola bottega una scala a chiocciola in legno scendeva nella cave, lo scantinato, spazio segreto e di “cospirazione”, rifugio sicuro per agenti stranieri o antifascisti in clandestinità.